
Se, come sostiene il Rettore dell'UPS Carlo Nanni, queste problematiche riportano al centro l'emergenza educativa relativa alla formazione di una mentalità orientata al bene comune, democratica e partecipativa che si innesti nell'orizzonte dell'etica e della deontologia, i rappresentanti del giornalismo della carta stampata puntano il dito sulla difficoltà dell'opinione pubblica a farsi tale in un paese dove non si leggono più quotidiani (sede ideale di quell'informazione approfondita che tanta inquietudine trasferisce al potere) e la televisione è diventata ormai da tempo il principale strumento di informazione.
I
lavori, inaugurati da una Tavola Rotonda, hanno visto gli interventi
di Luca Palamara, Presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati,
Paolo Butturini, segretario dell'Associazione Stampa Romana, Don
Luigi Ciotti, presidente di Libera, Davide Giacalone, giornalista e
saggista. Palamara ha ribadito come la Magistratura non c'entri con
le elezioni, ma con la Costituzione, che le ha assegnato il preciso
compito di far rispettare le leggi emanate dal governo. In questi
ultimi sedici anni si è però assistito ad un incalzante e
progressivo scontro tra potere politico e potere giudiziario dove
l'informazione ha giocato un ruolo importante dando continua enfasi
alla fase delle indagini preliminari piuttosto che al dibattimento in
aula (da Tangentopoli in poi). Ma se il compito del magistrato è
accertare la verità, quello del giornalista è dare la notizia e,
spesso, è la ‘cattiva' notizia, l'accusa, l'attacco a
costituire il 'sale' dell'informazione (basti pensare a certi
casi di cronaca nera amplificati dai mass media come Cogne ed Erba);
pertanto questa fase viene eccessivamente privilegiata finendo spesso
con l'intralciare anche il sereno svolgimento del lavoro della
magistratura. Quando poi le indagini toccano interessi di politici
rilevanti, la strumentalizzazione si acuisce e i toni si infiammano
lasciando la triste sensazione che si sia passati da una difesa nel
processo a una difesa dal processo.
E' Butturini a specificare che
la questione centrale in Italia è il conflitto di interessi e che il
70% della raccolta pubblicitaria va alle televisioni (ricordiamo che
Mediaset con le sue tre reti commerciali è di proprietà di
Berlusconi - capo di governo - e la Rai è un servizio pubblico, ma
il suo consiglio di amministrazione è definito dalle forze della
maggioranza di governo). Pertanto essendo la televisione il mass
media che maggiormente definisce la formazione dell'opinione
pubblica, le ingerenze relative agli stop dei talk show sono il
segnale di una distorsione che chiude il cerchio con i reiterati
attacchi alla magistratura. Don Ciotti, con la sua coraggiosa
testimonianza civile e cristiana, ha ricordato che l'informazione o
è libera o non è e che per fare giustizia c'è bisogno di
informazione, ma di un'informazione che abbia rispetto per le
persone. La democrazia ha bisogno di pluralismo e capacità di
sintesi, di responsabilità educativa. Ogni distorsione delle notizie
è un peccato (la recente prescrizione
divenuta assoluzione
al TG1), a volte intenzionale come la calunnia e la diffamazione. C'è
bisogno di recuperare parole di vita, che non offendano, che non
dividano e questo da parte di tutti, soprattutto dei politici. Ma la
crisi economica non aiuta, la precarietà rende tutti schiavi ed è
poi nella mancanza di coraggio e profondità che vanno a generarsi i
peggiori mali. Giacalone (foto) stressa la lentezza dell'apparato
giudiziario che rinforza la patologia del sensazionalismo delle
cattive notizie, interrogandosi sull'opportunità delle
intercettazioni come strumento di indagine.
Franco Lever, Decano della FSC, ha poi lanciato una provocazione chiedendo agli ospiti come - tra giustizia malata, potere che vuole il controllo e informazione che rincorre il mercato - si possano trovare vie di uscita. Palamara risponde che invece di pensare alle intercettazioni bisognerebbe ascoltare le richieste concrete della magistratura per accelerare i processi (organizzazione, risorse, affollamento carceri, penale semplificato in alcuni casi); Butturini invoca un ordine dei giornalisti di maggiore peso sanzionatorio e una società civile in grado di fare pressione (class action) anche per rinnovare la cultura dell'informazione; Ciotti parla di ‘meno leggi e più legge', di riforme per la brevità del processo ma anche di una giustizia che inizia dalla prossimità, dall'ascolto attento, dal rispetto per storie e persone, evitando banalizzazioni e pregiudizi, della urgente necessità di trasformare le paure in speranze (di nuovo a cominciare da un uso coscienzioso delle parole). Se oggi la mafia è anche impresa e politica è solo il ‘noi' che può vincere. Ma è un noi che nasce da una dimensione della conoscenza, del sapere che costruisce coscienza e responsabilità comune.
